L’Italia conquista il podio, al campionato mondiale 2019: non si parla di Calcio stavolta, ma di analfabetismo digitale. Nello specifico, cosa vuol dire “analfabetismo funzionale digitale”? Vediamolo insieme.
Secondo un’analisi realizzata dall’OCSE riguardo l’analfabetismo funzionale digitale, attraverso il programma PIAAC (Indagine Internazionale sulle Competenze degli Adulti), su un campione di 29 Paesi, gli italiani sarebbero collocati in terza posizione, superati, se così si può dire, solo dalla Turchia e dal Cile. Questo è un risultato decisamente paradossale, se si considera che al giorno d’oggi gran parte della nostra quotidianità è legata a doppio filo alla tecnologia digitale.
Facciamo un passo indietro. L’analfabeta funzionale è un individuo in grado di leggere e scrivere (e ciò lo distingue dall’analfabeta “semplice”), ma con difficoltà a comprendere il significato di un testo basilare, metabolizzarne i contenuti o di svolgere funzioni, appunto, di rapida esecuzione.
Queste carenze funzionali e di comprensione si ripercuotono inevitabilmente nell’ambito digitale quotidiano, e si traducono, ad esempio, nella incapacità di inviare una foto, un messaggio vocale, o un contatto della propria rubrica, tramite app come Whatsapp. Oppure, ancora, nel reperire informazioni di facile intuizione all’interno di una pagina web, semplicemente consultando la relativa sezione.
“Un uomo che non legge buoni libri, non ha alcun vantaggio rispetto a quello che non sa leggere”. -Mark Twain
Di concerto con l’indagine di cui parlavamo poc’anzi, è possibile tracciare un profilo dell’analfabeta funzionale digitale medio: si tratta di un individuo, in un range di età compresa tra i 16 e i 65 anni, cresciuto in una famiglia nella quale la lettura di libri ha sempre avuto carattere marginale, o era completamente assente.
Un adulto nato a partire dagli anni cinquanta, che ha terminato il suo percorso scolastico troppo presto, per entrare più velocemente nel mondo del lavoro, e solitamente svolge un’occupazione manuale e di routine. Oppure si tratta di un giovane, nato tra gli anni novanta e duemila, che non studia, né lavora e vive a casa dei genitori.
La triste realtà fotografata dall’OCSE ritrae, quindi, una grossa fetta di italiani che non è educata al digitale e che mal si sposa con le competenze richieste, sempre in misura maggiore, dal mondo del lavoro, nel settore del Web.
Cosa è andato storto? Un tempo, purtroppo, l’istruzione era un lusso per pochi. Oggi, invece, oltre al frullatore e al tostapane, abbiamo uno strumento eccezionale: Google.
Il motore di ricerca più famoso al mondo, l’onnisciente dalla risposta sempre pronta per essere servita, è alla portata di tutti ed è, ormai, presente su ogni dispositivo elettronico, dotato di una connessione ad Internet, con buona pace dei vocabolari ingialliti sugli scaffali, e dei tomi delle enciclopedie rilegate in pelle, immobili, a prendere polvere, come vestigia di onorevoli oggetti del passato.
Allora, per quale motivo metà degli italiani non utilizza Internet? E perchè l’altra metà non è adeguatamente istruita, ad utilizzare device come computer, smartphone o tablet? In un’era in cui la digitalizzazione dell’informazione è accessibile a chiunque, in maniera facile e veloce, standosene comodamente seduti in poltrona con il proprio dispositivo digitale, com’è possibile rimanere ignoranti? Ci viene in aiuto la psicologia, che ci indica almeno due ordini di ragioni:
“La scarsa considerazione che la nostra classe politica e, in particolare, quella più recente riserva all’istruzione, all’università e alla ricerca è la conseguenza del basso livello culturale della gran maggioranza degli eletti in Parlamento.” -Margherita Hack
E la Politica? Con la diffusione dell’utilizzo dei social network, si pensi a Facebook e Twitter, molti dei nostri politici hanno montato ad arte notizie false e fuorvianti, (quelle che i media hanno etichettato come“fake news”), screditando l’operato degli avversari, per ottenere consensi ed aumentare il loro indice di gradimento, facendo leva su quelle fasce del loro elettorato meno istruite e più sensibili a particolari temi sociali.
Le “fake news” trovano terreno fertile tra gli analfabeti funzionali digitali, e rimbalzano da un account social ad un altro, in maniera “virale”. Quasi sempre chi li condivide si ferma soltanto alla lettura del titolo, senza accertarsi della attendibilità della fonte, né tanto meno della veridicità dei fatti esposti nell’articolo.
In questi mesi appena trascorsi il mondo si è fermato. In Italia, le impopolari misure di lockdown ci hanno costretti a casa. Tuttavia, per alcuni di noi il lavoro si è digitalizzato e siamo riusciti ad operare in smartworking, in attesa di un ritorno alla normalità. In qualche modo, siamo stati obbligati a sconfiggere la tecnofobia, abbiamo acquistato farmaci e altri beni online, abbiamo prenotato le nostre spese al supermercato tramite app, e siamo rimasti in contatto con i nostri cari, attraverso le videochiamate.
Questo approccio forzato alla tecnologia smart deve essere interpretato come un ulteriore passo, che ci avvicina alla fine dell’analfabetismo funzionale digitale, o, quanto meno, ad una drastica riduzione del fenomeno. Perciò, occorre che vi sia maggiore coesione tra Famiglia e Scuola, le formazioni sociali più importanti per la crescita e lo sviluppo culturale della persona.
Affinché questo avvenga, è necessaria una sinergia tra genitori e docenti, supportata anche dagli strumenti digitali che oggi il mercato offre. Chi vive in un contesto sereno, ricco di stimoli, sarà più propenso all’apprendimento, al pensiero critico, e alla curiosità. non dimentichiamolo: un bambino curioso, sarà un adulto informato.
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